La scuola dell’autonomia e le scelte al passo con i tempi
di Tonio Rollo
Delle volte c’è da domandarsi perché in certi casi si sente la necessità di “essere più realisti del re”, o come direbbe qualcuno “essere più cristiani di Gesù Cristo”.
Eppure, è quello che sta succedendo intorno al caso di una scuola che nella sua piena autonomia decide di stare chiusa un giorno al posto di un altro. Nella testa tante domande. Perché, pur assicurando i 200 giorni di lezione (lo chiede l’Europa!) una scuola decida in piena autonomia di dare il via alle lezioni qualche giorno in anticipo rispetto a quanto calendarizzato dalla propria Regione, che per legge vari un proprio calendario scolastico, diverso da quello di un’altra per esigenze stagionali, meteo, tradizionali o religiose diverse rispetto alle altre al posto di un altra, che problemi ci sono? Il tutto è possibile in virtù della modifica del Titolo V della Costituzione (L. Cost. 3/2001).
Che una scuola decida di recuperare i giorni in occasioni particolari rientra nelle sue competenze attraverso delibere dei propri organi collegiali. È da quaranta anni (1994) che Regioni e singole realtà scolastiche che possono articolare il proprio calendario scolastico. E pensare che con l’autonomia scolastica la differenziazione tra regioni e scuole potrebbe essere ancora più accentuata.
Ora perché dall’esterno si cerca di limitare questa autonomia? Perché un cittadino della Valle d’Aosta o del Trentino dovrebbe rimanere sorpreso se in Puglia si decida di iniziare le lezioni il 14 settembre e non l’11? O perché in Basilicata qualcuno si dovrebbe stracciare le vesti se in Lombardia, poiché Sant’Ambrogio cade di giovedì, qualche scuola potrebbe decidere di fare il classico ponte lungo?
Perché in qualche trasmissione qualcuno per audience o per fare lo splendido dovrebbe dire: “Non è giusto che una scuola chiuda per un motivo X? Cosa interessa a “noi” (intendi: italiani/occidentali) di X?”. O che perfino un “tecnico” del mondo della scuola abbia a che ridire se una scuola di un piccolo paese per necessità didattiche decida di chiudere per la festività del santo patrono, o per le festività che precedono la Quaresima, o per onorare la santa devozione a San Valentino o perché il giorno prima c’è stata la fòcara o perché si vogliano festeggiare i cento giorni all’esame di stato o anche perché c’è la fine del Ramadan. Come mai un “tecnico” della scuola non sa come funziona la scuola? Che si scandalizzino coloro che sono e vivono all’esterno di una realtà ci può stare, in un tempo in cui tutti si sentono virologi in tempo di pandemia, o ingegneri in tempi di ponti che cadono, o allenatori quando c’è un’Italia che gioca ci può stare, ma che ci senta anche ministri dell’istruzione quando si parla di scuola ce ne vuole.
Il fatto strano che a gridare allo scandalo di fronte ad una scuola che decide di chiudere per la fine del Ramadan non è la Conferenza episcopale italiana, che anzi attraverso il suo giornale si è dimostrata aperta alle scelte fatte secondo le leggi vigenti, o il Presidente della Repubblica, che si è dichiarato vicino al lavoro dei docenti della scuola “autonoma”, ma è stato il “tecnico” che si è dimostrato più realista del re. Ma se in una scuola del milanese ci sono il 40% di studenti di una religione diversa facciamo una domanda seria e diamoci una risposta concreta, e che non sia discriminatoria, qualunquista.
A volta sembra essere tornati a quando la Rai censurava “la Buona Novella” di Fabrizio De Andrè mentre Radio Vaticana la trasmetteva regolarmente. Ma diamo a Cesare quel che è di Cesare e a Pioltello…