Il piano Neet per l’Obiettivo che l’Italia ha mancato?
L’Agenda Onu vincolava a una sostanziale riduzione, entro il 2020, dei giovani che non studiano e non lavorano. Invece son oltre tre milioni e si ingrossa la quota degli scoraggiati che finora le politiche pubbliche non sono state capaci di raggiungere. Ecco cosa dicono gli esperti.
di Andrea De Tommasi
Alla fine di gennaio il ministero delle Politiche giovanili, in collaborazione con il ministero del Lavoro e delle politiche sociali, ha lanciato il piano “Neet working”, che ha l’obiettivo di ridurre il numero dei Neet, ovvero i giovani tra i 15 e i 34 anni che non studiano, non lavorano e non fanno formazione, attraverso una strategia in tre mosse: emersione, ingaggio e attivazione. La prima fase punta a coinvolgere i giovani attraverso alleanze orizzontali tra istituzioni e attori locali, campagne mirate di informazione e sensibilizzazione, programmi personalizzati di integrazione nel mercato del lavoro. La fase dell’ingaggio intende far leva sul digitale, come ad esempio la cosiddetta gamification, la musica, il teatro, lo sport, portando alla luce le iniziative più interessanti nate a livello locale. L’ultima fase prevede il coinvolgimento di una serie di soggetti responsabili sui territori delle politiche per i giovani, dai Centri per l’impiego a Garanzia Giovani, rinforzata secondo le indicazioni del Consiglio Ue e del Parlamento italiano, oltre che di tante realtà giovanili.
Quale impatto?
Diversi osservatori hanno dedicato molta attenzione al piano strategico del governo per affrontare un’emergenza che anno dopo anno, anche dinanzi agli effetti socio-economici della pandemia, emerge con sempre maggiore chiarezza. In un articolo pubblicato il 3 marzo, l’editorialista del Corriere della Sera Dario Di Vico ha criticato il provvedimento ravvisando la mancanza di soluzioni innovative ed efficaci: “La strategia di Garanzia Giovani a suo tempo rappresentò un fallimento, nel migliore dei casi fu una fabbrica di tirocini senza successiva stabilizzazione. Riproporla cambiandole nome e inventando l’acronimo Gol di per sé sposta assai poco. Così come sono pannicelli caldi gli sportelli ‘dedicati’ ai Neet nei Centri per l’impiego o peggio il ‘tour informativo’ che la ministra Dadone ha preannunciato”. Secondo Di Vico, la rilevanza del fenomeno Neet nel nostro Paese richiederebbe un gesto significativo: “Potrebbe essere proprio il primo ministro Mario Draghi, che prima che scoppiasse la crisi ucraina aveva espresso l’intenzione di rimettere in connessione l’azione del suo governo con il Paese reale, a prendere l’iniziativa”.
Sul Sole 24 Ore, Maurizio Del Conte, ordinario di Diritto del lavoro presso l’Università Bocconi, ha spiegato la debolezza del piano con l’assenza di un approccio sistemico che metta in raccordo educazione, istruzione, formazione e lavoro: “Investendo risorse e capitale politico nel sistema duale, la Germania ha dimezzato il tasso di inattività dei giovani in una decina di anni, proprio mentre nello stesso periodo, in Italia, si ingrossavano le file dei Neet”. Per affrontare “la più grave delle emergenze sociali” del Paese, Del Conte propone una serie di misure, tra cui il potenziamento dell’alternanza scuola lavoro, il rafforzamento del sistema degli Istituti tecnici superiori coinvolgendo le imprese, una regolamentazione per mettere ordine alla “giungla della formazione professionale”. Tutto questo con il presupposto che “i giovani sul divano ci stanno malissimo e che dallo Stato non si aspettano né miracoli né mancette”.
Tra le voci favorevoli al provvedimento c’è quella di Chiara Natalie Focacci, ricercatrice presso il dipartimento di Scienze economiche dell’Università di Bologna, che su lavoce.info ha commentato: “Il Piano Neet si basa sul principio efficiente di indipendenza funzionale e attiva delle istituzioni, che non le contamina di mansioni che non gli appartengono”. Il riferimento è in particolare all’alleanza tra Anpal (l’Agenzia nazionale per le politiche attive del lavoro), Inapp e Agenzia nazionale giovani specializzata nei servizi Erasmus +. Focacci sposa anche l’attenzione del piano al reskilling dei giovani Neet, “per non sprecare le intelligenze delle nuove generazioni e promuovere occupabilità oltre che occupazione”.
Il divario si allarga
Nell’Agenda 2030 delle Nazioni unite la sostanziale riduzione del numero di giovani che non studiano e non lavorano rappresentava il target 8.6, da raggiungere entro il 2020. Tuttavia l’Italia non ha rispettato l’impegno: i Neet nel nostro Paese sono complessivamente più di tre milioni (un giovane su quattro), di cui 1,7 donne. Dopo la Turchia (33,6%), il Montenegro (28,6%) e la Macedonia (27,6%), nel 2020 l’Italia è il Paese con il maggior tasso di Neet in Europa. Osservando l’andamento dei dati degli ultimi dieci anni, il Piano Neet working mostra che la percentuale di giovani Neet nel nostro Paese, dopo essere cresciuta notevolmente con l’impatto della Grande recessione (arrivando a 27,4% nel 2014), non è poi tornata sui livelli precedenti e si è inoltre ampliato il divario con la media europea. L’incidenza è molto alta nelle periferie delle grandi città e raggiunge percentuali elevate al Sud, in particolare in Campania, Calabria e Sicilia. Tra i tre milioni di Neet, però, i disoccupati, ovvero chi non ha un lavoro ma lo sta attivamente cercando, sono ben un milione, una quota significativa che può essere aiutata a reinserirsi più rapidamente sul mercato. Senza dimenticare che nel mercato del lavoro in Italia esiste un crescente mismatch di competenze tra domanda e offerta. Il bollettino prodotto da Anpal e Unioncamere ha evidenziato come più di un’azienda su tre abbia un bisogno insoddisfatto di profili tecnici, scientifici e ingegneristici. Si tratta di materie in cui il nostro Paese, in ragione di ostacoli e pregiudizi mai rimossi, registra anche una scarsa rappresentanza delle donne.
“Occorre affrontare il tema con realismo per cercare risposte concrete” – ha detto nel corso di un recente webinar il cardinale Matteo Maria Zuppi, arcivescovo di Bologna e promotore di una ricerca sul fenomeno dei Neet – “e se è vero che le colpe dei padri non ricadono sui figli non possiamo non interrogarci su quello che è successo. Perché questa mancanza di dialogo, il disagio? Perché il reale è diventato brutto, pericoloso o inutile e mi costringe a fuggire dalla realtà? Dobbiamo chiedercelo nel momento in cui vogliamo pianificare il futuro. Il Covid ha accentuato tante fragilità, come un liquido di contrasto”. Già nel 2020 un report dell’Ocse, indagando gli effetti della pandemia sulle ragazze e i ragazzi più vulnerabili, ha parlato di una particolare “asimmetria generazionale” che ha frenato fortemente i percorsi di emancipazione giovanile. “Dalla nostra indagine sulla reazione dei giovani al Covid e al lockdown”, ha spiegato Zuppi, “sono emerse sofferenze importanti (il 76% degli studenti vede gli insegnanti ‘distaccati e ostili’ e che ‘non si preoccupano di come stanno…’) sulla mancanza delle relazioni, sul senso della vita, sulla solitudine”.
Intercettare i Neet
In Italia, tra l’altro, è molto più ampia la parte dei Neet che, seppur coinvolti nelle rilevazioni statistiche, sono “fuori dal radar” dell’istruzione e delle politiche pubbliche e hanno bisogno di programmi di riattivazione prolungati nel tempo. È il dato che emerge dalla ricerca “Intercettare i Neet. Strategie di prossimità” pubblicata il 22 febbraio dall’Osservatorio Giovani dell’Istituto Toniolo e commissionata dal ministero delle Politiche giovanili. Accanto ai giovani che cercano più o meno intensamente lavoro e a quelli scivolati nella cosiddetta area grigia tra precarietà e non lavoro, si fa strada una quota significativa, ma meno visibile, di “giovani che non ci credono più”, bloccati da situazioni familiari problematiche o scoraggiati da esperienze negative che li hanno fatti precipitare in una spirale di depressione progressiva. I giovani intervistati nell’ambito della ricerca hanno evidenziato la scarsa conoscenza delle misure specifiche per i Neet e un’interazione assai blanda con i canali istituzionali, sebbene il Terzo settore sia molto attivo e presente sui territori. I bandi di concorso? “Sono troppo lunghi, infiniti e scritti in un linguaggio che non ci è vicino in nessun modo”, ha risposto un giovane di Genova. I Centri per l’impiego? “Servirebbe una maggiore efficienza del collocamento… io attualmente ho 23 anni… e ho lavorato vabbè diciamo in questi anni, però non sono mai stato chiamato dal collocamento, e conosco altre persone anche dopo 20 anni non sono mai state chiamate”, ha spiegato un ragazzo di Giugliano in Campania. È a conoscenza di politiche e progetti presenti sul territorio? “Ho sentito parlare di Garanzia Giovani, ma come nome, nulla di più… Sapevo dell’esistenza del Servizio Civile, più o meno che cosa fosse…ho incontrato un collega che lo stava facendo e allora mi sono andata ad informare”, ha affermato una ragazza intervistata. Raggiungere soprattutto il target più fragile dei giovani Neet è forse la sfida più urgente per salvare una parte importante di una generazione.
di Andrea De Tommasi
Martedì 08 Marzo 2022
Fonte: futuranetwork.eu