Intercultura a scuola

Intercultura a scuola

Silvia Rizzello, A scuola il mondo conta. Percorsi e attività di mediazione e comunicazione interculturale, Molfetta (Ba), Edizioni La Meridiana, 2018, pp. 114.

Nell’ottobre del 2007 il ministero della Pubblica istruzione pubblicava un importante documento che, seppure riferito alla normativa ed ai cambiamenti legislativi attivati all’epoca, tracciava importanti linee guida per la implementazione di un processo di integrazione degli alunni stranieri all’interno della scuola italiana. Si sta parlando de “La via italiana per la scuola interculturale e l’integrazione degli alunni stranieri”. Nonostante siano trascorsi circa dodici anni dalla sua pubblicazione, questo testo rimane un’importante pietra miliare cui fare riferimento ogni qualvolta ci si debba confrontare con azioni e buone pratiche in ambito interculturale. Del resto, come scriveva l’allora ministro G. Fioroni: «Insegnare in una prospettiva interculturale vuol dire piuttosto assumere la diversità come paradigma dell’identità stessa della scuola, occasione privilegiata di apertura a tutte le differenze.».

L’aggettivo italiana inserito nel titolo del documento dopo il nome via, insegna il maestro A. Manzoni, mette in evidenza come occorra porre l’accento sull’importanza del percorso pedagogico compiuto negli ultimi vent’anni dal sistema di istruzione nazionale, che fissa un significativo carattere sulla personalizzazione del processi di apprendimento. Le differenze sono sempre una ricchezza, ma per poter fruire appieno di questa ricchezza occorre saper investire in campo educativo. «L’intercultura in classe assume il significato di un paradigma per l’intero sistema-scuola. In questo senso, predisporre misure di sostegno ad una stabile integrazione ed i necessari interventi specifici da un punto di vista didattico, non significa concentrare l’attenzione sul recupero degli immigrati come “alunni-problema”, ma integrare questo sforzo in un più ampio programma di educazione interculturale, coinvolgente tutta la classe. Tale approccio interculturale è fondato su una concezione dinamica della cultura, espressa soprattutto nell’ambito delle relazioni tra l’insegnante e gli alunni e tra gli alunni stessi. In passato, da parte di molti insegnanti è stata assunta una concezione culturalista, che tende a confrontarsi con le “culture d’origine” in quan- to tali, e che rischia di assolutizzare l’appartenenza etnica degli alunni, predeterminando i loro comportamenti e le loro scelte. Una concezione personalista della cultura, invece, valorizza le persone nella loro singolarità e nel modo irripetibile con cui vivono gli aspetti identitari, l’appartenenza, il percorso migratorio. La relazione interculturale opera il riconoscimento dell’alunno con la sua storia e la sua identità, evitando, tuttavia, ogni fissazione rigida di appartenenza culturale e ogni etichettamento». Questa è una delle importanti idee contenute nel documento ministeriale, ancora oggi valide.

Nel frattempo, gli anni sono passati, l’emergenza accoglienza sembrava essere terminata, i governi si sono succeduti ed anche le riforme del sistema di istruzione sono cambiate. Nel 2012 sono state introdotte, con apposito regolamento a norma del DPR 20 marzo 2009, n.89, le Indicazioni nazionali per il curriculum della scuola dell’infanzia e del primo ciclo dell’istruzione e i docenti sono stati chiamati a confrontarsi con la didattica per competenze.

In tale rinnovato contesto formativo ed educativo le buone pratiche per l’integrazione degli alunni stranieri sono divenute fondamentali per attuare, nel miglior modo possibile, il processo interculturale che mette in risalto come A scuola il mondo conta. Questo interessante volume stampato per i tipi de La Meridiana e scritto da Silvia Rizzello contribuisce, nel panorama editoriale italiano, a fornire nuovi interessanti metodi per la implementazione di Percorsi e attività di mediazione e comunicazione interculturale, come brillantemente indicato nel titolo del testo stesso.

L’autrice -giornalista freelance, mediatrice interculturale e docente in didattica dell’italiano per stranieri- scrive nella sua introduzione: «Nella stesura di questo lavoro c’è un solo punto di partenza. È lo sguardo, sempre diverso ma vivo, che mi è apparso spesso smarrito e infelice, talvolta anche gioioso e positivo, di tanti bambini, giovani e adulti eredi di una o più culture in movimento nel Belpaese. (…) Questo transito produce, non solo in Italia ma in qualsiasi luogo in cui sussistano le condizioni di cui sopra, stranierità ovvero il primo step di un processo in cui l’entrare in contatto con una persona di origine straniera, nel senso di sconosciuta, differente, implica necessariamente  un confronto spontaneo quanto obbligato tra più menti (…). Il metodo adottato è da intendersi come un preparare il terreno a diventare fertile in una realtà sempre più plurale, a misura di differenze. Perché nella mediazione interculturale ciò che conta non è il risultato, come dall’alto di una cattedra ci hanno insegnato, ma quello che accade proprio dal basso, in maniera orizzontale; appunto, tra i banchi di scuola»  (pp. 11-13).

Il libro è diviso in tre parti, molto interessanti e molto utili per ampliare di orizzonti formativi di docenti ed educatori, che approfondiscono i temi dell’intercultura, della multiculturalità, della competenza, della mediazione interculturale, del ruolo mediatore/insegnante, del contesto scuola e del contesto classe. Di queste, la parte terza intitolata “La palestra delle differenze, idee e proposte didattiche” offre al lettore/fruitore la possibilità di cimentarsi con l’attuazione, in aula, di dieci proposte didattiche per rendere concreto l’intervento della media education in ambito interculturale. Nel volume, infatti, è bene esplicitato come «I protagonisti di questo moderno fluire e fruire delle notizie e, in generale, della comunicazione a 360 grado sono i nativi digitali e gli immigrati digitali, come li ha definiti lo scrittore americano Marc Prensky. I primi sono nati nell’era del web, i secondi sono tutti coloro che, pur non essendo nati con la tecnologie, hanno dovuto utilizzarla in un momento successivo; e che possiamo indentificare nella maggior parte degli insegnanti, educatori, familiari e adulti con i quali i  giovani, nativi digitali, si confrontano ogni giorno» (p. 63).

Un valido aiuto, alla realizzazione delle dieci esperienze attive, è l’appendice definita “Utilità” che contiene una webgrafia ed un vademecum in rete. Attraverso la consultazione di siti internet -appositamente selezionati e segnalati (unitamente ad un’aggiornata bibliografia)- è possibile ricavare informazioni oltre che reperire risorse didattiche, cui attingere nel dialogo/confronto con gli studenti. Tutto ciò serve a rendere l’alunno protagonista in modo collaborativo della sua crescita e della crescita del gruppo classe. Silvia Rizzello lo descrive chiaramente: «La collaborazione fra pari, il cooperative learning, diventa così una risorsa che si sviluppa spontaneamente e da cui trarre giovamento per la didattica.» (p. 47). Questo interessante testo merita di essere inserito nei cataloghi delle biblioteche magistrali delle istituzioni scolastiche (cui possano attingerne docenti ed educatori); merita di essere letto ed utilizzato nei percorsi didattici di mediazione interculturale; merita di essere sperimentato in aula. Il libro contribuisce, inoltre, a realizzare progetti e suggerisce idee che pongono al centro dell’azione didattica ed educativa la persona. Perché come evidenziano le Indicazioni nazionali 2012: «La centralità della persona trova il suo pieno significato nella scuola intesa come comunità educativa, aperta anche alla più larga comunità umana e civile, capace di includere le prospettive locale, nazionale, europea e mondiale».

Pietro Manca


Studi Emigrazione, LVI, n. 214, 2019 - ISSN 0039-2936

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piero manca

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