Non è quel che credi

Non è quel che credi

C’è  un che di profetico nell’ultimo bel libro di Francesco Cosentino Non è quel che credi. Liberarsi delle false immagini di Dio  (Edizioni Dehoniane, Bologna,  2020, pagine 168, euro 13).   Nel senso che, pur essendo stato scritto nel 2019, pone sul piatto la sostanza dei problemi che pandemia e  lockdown hanno posto al sensum fidei  del popolo cristiano.

Diceva in una recente intervista l’arcivescovo di Bologna,  cardinale Matteo Maria Zuppi: «La pandemia ha avuto un merito, se così si può dire, quello di svelare tutte le fragilità preesistenti», sicuramente anche quelle religiose. Nelle interminabili giornate di isolamento e di privazione dai sacramenti e dal rito si è consumata una frattura nella coscienza religiosa di molti, un senso di disagio dato dal sentirsi “senza rete”, l’imperativo di ripensare e discernere i fondamenti della propria scelta di fede.

L’incipit del libro già dice tutto. «Se Dio dovesse inviarci un breve messaggio, oggi, probabilmente sarebbe questo: “Voi mi avete frainteso”».  Cosentino è abbastanza scettico rispetto all’idea che la scristianizzazione progressiva dell’occidente sia da imputare solo alla secolarizzazione montante, cioè a fattori solo esterni sociali o culturali.  Pensa piuttosto al peso esercitato da una fuorviante immagine di Dio  (fatta di segni, di simboli, di immagini e di linguaggi) che nasce dall’uomo e non corrisponde all’amore misericordioso di Dio rivelato da Gesù di Nazareth. Un Dio creato “a immagine e somiglianza” dell’uomo, su cui si proiettano tutti i limiti dell’esperienza umana, un Dio che raccoglie e a sua volta genera ansie e paure.   E già qui incombe la necessità di una consapevolezza dei nostri limiti di annunciatori del Vangelo, limiti che troppo spesso veliamo con le ristrettezze imposte dal mondo secolare.  
Diceva recentemente don Fabio Rosini, direttore del Servizio per le vocazioni della diocesi di Roma, parlando agli insegnanti di religione, che «ci adombriamo perché tolgono i crocifissi dalle scuole, ma non riflettiamo sul fatto che il 95 per cento degli italiani ha seguito per un’ora a settimana per tredici anni l’insegnamento della religione a scuola.  Chi altro ha una possibilità del genere?    Con quali risultati?  Forse dovremmo cominciare a misurare la congruità dell’immagine di Dio che diamo ai giovani».  E questo è appunto il percorso che don Francesco Cosentino segue nel suo libro, svelando i vari volti che spesso questa immagine distorta assume: superstizioni, aspetti mercantili (il do ut des  con il Signore), le ansie del Dio castigatore, la ricerca affannosa di un perfezionismo che ci impedisce di accogliere la nostra ed altrui fragilità umana.

Il risultato alla fine è un Dio tappabuchi, invocato perché risolva Lui dall’alto le difficoltà che per pigrizia o per impotenza non riusciamo ad affrontare; un Dio che castiga, che incombe minaccioso sulle persone generando la smania perfezionista di chi pensa che dinanzi a Lui non bisogna sbagliare mai; un  Dio ragioniere contabile, che intrattiene con l’uomo una relazione da “mercato”, misurando il Suo amore a seconda delle prestazioni religiose che offriamo e calcolando sulla bilancia i meriti e le colpe; un Dio del sacrificio, che alimenta una religiosità aspra, concentrata sull’offerta dei nostri sacrifici “assetata” di duro ascetismo e sofferenza; infine, un Dio dell’efficienza, che sembra corrispondere anche a molti modelli dell’attuale società, dove alla fine vali soltanto se produci e porti a casa dei risultati ottimali.

Tante persone,  afferma l’autore, hanno interiorizzato un’immagine di Dio così oppressiva e soffocante, sviluppando nel corso della vita un atteggiamento religioso alimentato dalla paura di essere punite o non accettate, e conservando intimamente la sensazione che non fossero a posto davanti a un giudice così spietato. La loro religiosità fa leva sul sacrificio e sul peccato, mentre sono schiacciate dal senso di colpa, dal timore del giudizio e da una crescente ansia di prestazione religiosa. Purtroppo, ciò è talvolta alimentato dai toni accusatori e moralisti di certe omelie, di alcune catechesi e di tutto un mondo devozionale che suscita rimorsi, eccessi di scrupolo e sensi di colpa. Un punto su cui don Francesco potrebbe utilmente indagare in un eventuale sequel   del libro è quello della generazione di questi atteggiamenti, che sono anche figli di uno stato di passività devozionale a cui certa pigrizia pastorale ha costretto larga parte del popolo di Dio. Non si tratta certo di sostituire questa pigrizia con una pastorale intellettualistica,  ma pur rispettando la ricchezza della pietà popolare, aiutare sempre più il popolo di Dio a maturare  una fede più libera e   consapevole, soprattutto attraverso la pratica del discernimento. 

La soluzione è quella a cui Cosentino dedica — con una cifra stilistica tra l’appassionato, il poetico e lo spirituale — le ultime pagine del libro: riconciliarsi con Dio e con se stessi, tornando alla Parola, cioè alla vera  immagine di Dio rivelata da Gesù, quella di un Dio buono,  innamorato della vita e dell’uomo. Un libro, questo di Cosentino, che è più di un libro: un vero corso di esercizi spirituali a cui molte comunità e molti pastori potrebbero utilmente attingere. (r.c.)


Fonte: L’Osservatore Romano

Tonio Rollo