Il “Patto educativo” globale di Francesco
Posposto a causa del Coronavirus, nella seconda metà di ottobre dovrebbe essere firmato a Roma un Patto educativo. Mons. Vincenzo Zani, segretario del dicastero per l’educazione, rispondendo a Lorenzo Prezzi illustra l’impegno della Chiesa, delle grandi istituzioni internazionali e di personalità di rilievo mondiale per dare un futuro alle giovani generazioni.
– Parlando ai diplomatici il 9 gennaio scorso, papa Francesco ha dedicato un significativo passaggio del discorso al tema educativo sottolineando l’importanza del Patto educativo globale che verrà firmato nel prossimo ottobre. Potrebbe indicare i punti più significativi dell’interesse educativo del pontefice?
Il discorso di papa Francesco, del 9 gennaio scorso al Corpo Diplomatico, indica con grande chiarezza e lucidità l’intenzione del pontefice di mettere al centro delle attività del corrente anno il tema dell’educazione. Infatti, subito dopo avere affermato che «la pace e lo sviluppo integrale sono l’obiettivo principale della Santa Sede, nell’ambito del suo impegno diplomatico», e dopo avere accennato agli accordi stipulati nel 2019 e ai viaggi compiuti, il papa introduce il tema del Patto educativo globale. Lo imposta come la risposta urgente che gli adulti devono dare facendosi carico di «condurre i giovani alla maturità spirituale, umana e sociale».
L’invito è a rinnovare la passione per un’educazione più aperta ed inclusiva, capace di ascolto paziente, dialogo costruttivo e mutua comprensione. Oggi, infatti, occorre formare persone mature, capaci di superare frammentazioni e contrapposizioni e ricostruire il tessuto di relazioni per un’umanità più fraterna. Per rispondere al cambiamento epocale in atto, è necessario un cammino educativo e la costituzione di un villaggio dell’educazione, che va intesa come un laboratorio in cui formare persone disponibili a mettersi al servizio della comunità.
Dopo queste affermazioni, papa Francesco accenna all’ampia gamma di esperienze formative rivolte ai giovani, come le scuole, le università e i vari percorsi educativi informali, e ribadisce il diritto primario della famiglia a educare, come pure il diritto delle Chiese e delle aggregazioni sociali a sostenere le famiglie e a collaborare con esse nell’educazione dei figli.
Ritorna poi sul tema dei giovani, evidenziando l’urgenza di mettere in atto una solidarietà intergenerazionale che è mancata negli ultimi anni.
Alla prova dell’infosfera
– Com’è nata l’idea di sottoporre ai grandi della terra il Patto educativo globale?
Occorre prima di tutto dire che il tema educativo è molto presente nel magistero di questo pontefice e che egli ritorna spesso a delineare la missione che la Chiesa può svolgere con questo impegno per rispondere alle sfide attuali. In un discorso del 10 maggio 2014 egli disse: «Io amo la scuola, io l’ho amata da alunno, da studente e da insegnante. E poi da vescovo. Nella diocesi di Buenos Aires incontravo spesso il mondo della scuola».
Se, da un lato, l’iniziativa di Francesco è una traduzione concreta di una visione e di un pensiero che esprime una sua sensibilità personale, dall’altro, essa è anche una risposta alle richieste presentate al papa da parte di personalità di varie culture e appartenenze religiose di promuovere una iniziativa speciale a livello mondiale per lanciare un messaggio morale rivolto a tutti e indirizzato alle giovani generazioni.
– La convocazione ecclesiale supera i confini confessionali e si rivolge a tutti i protagonisti mondiali. Quali istanze internazionali hanno sollecitato una rinnovata attenzione al tema educativo?
Nel messaggio del 12 settembre 2019, con cui ha lanciato il Patto educativo, il papa intercetta le grandi problematiche che caratterizzano il mondo attuale – segnato da un cambiamento epocale – e che sono spesso richiamate anche a livello di organismi internazionali. Egli fa riferimento alle continue trasformazioni che generano crisi profonde e che producono una sorta di metamorfosi non solo culturale ma anche antropologica.
Gli organismi internazionali, preoccupati delle trasformazioni sociali, economiche e culturali, invitano le istituzioni educative e accademiche a formare giovani professionisti che siano più creativi e innovativi, capaci di comporre i conflitti e promuovere dialoghi, e disposti ad assumersi la responsabilità di costruire il bene comune. Mi pare che la proposta di papa Francesco si innesti pienamente in queste preoccupazioni per il futuro.
Famiglia – scuola: ricucire il rapporto
– Quali sono le sollecitazioni maggiori ai processi formativi che il dicastero registra nell’insieme delle scuole cattoliche e non? Fra i genitori e gli insegnanti?
Negli anni recenti il dicastero ha affrontato molte tematiche educative, considerando in particolare i rapporti che vengono riportati dalle conferenze episcopali locali e dai numerosi colloqui in occasione delle visite ad limina dei vescovi; e si tratta di problematiche che riflettono le differenti situazioni territoriali.
Più in generale, l’attenzione si concentra su quattro ambiti specifici: l’identità delle scuole cattoliche, che significa rimettere al centro il fondamento antropologico ispiratore; la specificità e qualità del progetto educativo che si esplica nelle discipline e nell’idea di scuola-comunità; l’importanza della formazione dei formatori; e l’attenzione alle sfide del tempo presente. In tutto questo, uno dei punti fondamentali è il rapporto famiglia e scuola.
Il Patto educativo mira a sanare la strisciante frattura tra famiglia e scuola che il papa più volte ha richiamato. Lo ha fatto anche nel suo recente discorso alla Pontificia Accademia delle scienze sociali: «Le madri, i padri – i nonni – e la famiglia nel suo insieme, nel suo ruolo educativo primario, hanno bisogno di aiuto per comprendere, nel nuovo contesto globale, l’importanza di questo stadio iniziale della vita, ed essere preparati ad agire di conseguenza».
I docenti, in quanto “artigiani” delle future generazioni, vanno sostenuti e incoraggiati nel loro impegnativo ruolo educativo.
L’intelligenza delle mani
– Come cambia il sistema formativo in ordine al rapporto teoria e pratica, ai legami di collaborazione fra i giovani, al tema della comunicazione mediale, alla crescita affettiva-sessuale?
Certamente oggi il sistema formativo è provocato da tante emergenze e sfide a rimodulare la propria offerta di programmi, percorsi e didattiche educative.
A quelle sopra accennate se ne devono aggiungere altre, quali: la nuova scienza della mente, il cervello e l’educazione; la promessa della tecnologia di poter innovare e diffondere l’educazione per tutti; la sfida delle disuguaglianze insieme al problema dei giovani rifugiati e immigrati.
Il punto nodale, tuttavia, non riguarda il “quanto” ma il “come” riuscire a trasmettere, anche con l’ausilio delle nuove tecnologie, le conoscenze e i valori alle giovani generazioni. E su questo punto è ricorrente l’invito di papa Francesco ad offrire un’educazione che integri il linguaggio della testa con il linguaggio del cuore e il linguaggio delle mani.
Si tratta di proporre una progettualità che unisca l’educazione intellettuale e socio-emozionale, la trasmissione dei valori e delle virtù individuali e sociali, l’insegnamento di una cittadinanza impegnata e solidale con la giustizia.
In tutto questo, tre sono i pilastri fondamentali: il coraggio di mettere sempre al centro la persona, il coraggio di investire le migliori energie, con creatività e responsabilità, in una progettualità di media e lunga durata, il coraggio di formare persone disponibili a mettersi al servizio della comunità.
– Cosa significa l’insistito riferimento al «villaggio che educa»?
Papa Francesco, nel suo messaggio, accenna al proverbio africano il quale dice che «per educare un bambino serve un intero villaggio».
Il villaggio è una condizione di partenza ed è un ambito necessario dove, nella diversità, si condivide l’impegno di generare una rete di relazioni umane e aperte. Ma non sempre esiste un “villaggio” e, se c’è, non sempre è un luogo autenticamente educativo. Per questo il papa dice che bisogna costruirlo, questo villaggio. Si tratta di un richiamo che fa riferimento al fatto che l’educazione non è mai un’esperienza privata e isolata, ma è sempre un evento che necessita di un contesto comunitario e di relazioni.
Di fronte all’individualismo che consuma la nostra società, è sempre più importante che la scuola e tutti i luoghi in cui si formano le giovani generazioni siano vere comunità di relazioni autentiche e di vita. Per educare al dialogo e alla solidarietà, la proposta del “villaggio” rimanda all’idea di un laboratorio dove, in primo luogo, occorre bonificare dalle discriminazioni, superare i momenti di scoraggiamento e di disorientamento e, al contempo, occorre immettere in tutti delle iniezioni di fraternità.
Genitori, docenti, studenti, società con le sue istituzioni, tutti sono chiamati a collaborare nel villaggio dell’educazione. Poi dal villaggio si deve uscire ben formati per affrontare con coraggio le sfide ancora più grandi del mondo e costruire il bene comune.
Il villaggio e la terra
– Patto educativo e conversione ecologica si coniugano assieme?
Certamente! Assumere la questione ecologica come intrinsecamente relazionale – e quindi educativa – «ci impedisce, afferma la Laudato si’, di considerare la natura come qualcosa di separato da noi o come una mera cornice della nostra vita. Siamo inclusi in essa, siamo parte di essa e ne siamo compenetrati» (n. 139).
La ricerca di un rinnovamento dell’impegno educativo dell’interiorità e dell’identità, sempre più provocate dal mondo globalizzato e digitale, domanda che non si spezzi il legame con il più ampio orizzonte sociale, culturale e ambientale nel quale essa si inserisce. Essere umano e natura devono essere pensati nella loro interdipendenza, poiché la carenza di cura dell’interiorità si riflette in una carenza di cura dell’esteriorità e viceversa.
L’ecologia integrale richiamata dal papa non deve essere intesa come un ecologismo romantico, ma sgorga dalla consapevolezza che tutto è connesso, tutto è in relazione. E questo rimanda alla questione antropologica che costituisce la base per un rinnovamento della progettualità educativa.
Trasmettere umanesimo
– È possibile il paragone in ordine alla rilevanza pubblica fra il Patto educativo del 2020 e l’iniziativa interreligiosa di Assisi sulla pace negli anni ’80?
L’evento del Patto educativo globale, in un certo senso, ha la sua radice più remota nell’iniziativa di Assisi per la pace, voluta decisamente da Giovanni Paolo II nel 1986, dove si incontrarono i capi delle religioni.
L’incontro di Assisi segnò il pontificato di Woytjla e, per certi aspetti, potrebbe avere gli stessi effetti anche quello voluto da Bergoglio per il 2020; anzi, potrebbe essere ancora più significativo.
Nel suo messaggio, l’attuale pontefice punta ad «un’alleanza generatrice di pace, giustizia e accoglienza tra tutti i popoli della famiglia umana, nonché di dialogo tra le religioni».
Quest’ultimo si è sviluppato ampiamente dopo Assisi ’86, e ora viene rilanciato come esperienza che può contribuire a formare persone mature che, per la loro preparazione spirituale, culturale e scientifica, sono in grado di superare frammentazioni e contrapposizioni per ricostruire il tessuto di relazioni che generano una umanità più fraterna.
Nella prospettiva voluta da Bergoglio, lo spirito evangelico, che informa un nuovo umanesimo, vuole permeare tutte le componenti della persona e della società civile con le sue espressioni intellettuali, artistiche, sportive, politiche ed economiche.
Nell’evento di maggio prossimo, papa Francesco vede un inizio, una tappa di avvio di un processo che dovrà sviluppare successivamente diversi filoni di impegno nell’ambito educativo a vantaggio delle future generazioni.
Fonte: http://www.settimananews.it/educazione-scuola/patto-educativo-francesco/